Se una lingua ha un certa energia particolare (cosa peraltro evidentissima, per esempio, nel dire “La semaine prochaine j’irai à la citadelle”, oppure “I’m very happy to stay here in this place”, oppure nel dire “Yo quiero mucho ir a la playa”), ne consegue come logica conseguenza che da un lato un certo popolo ha una certa energia dominante, tanto da aver generato quella lingua nei secoli, e dall’altro lato la lingua stessa influenza chi si mette a parlarla, bambini o adulti.
Tra l’altro questo è anche un consiglio per chi volesse portare una certa energia nel proprio carattere… e non disdegnasse di farlo imparando una lingua: basterebbe individuare una lingua con certe caratteristiche sottili (pronuncia, struttura) e poi studiarla… e come per magia la persona acquisirà parte dell’energia di quella lingua e di quel popolo.
Pensai tutto ciò da ragazzino quando mi resi conto che, nel parlare inglese o francese (lo spagnolo l’ho studiato per conto mio dopo l’università), mi sentivo diverso rispetto al solito. Molto semplicemente.
Quello che vale nel micro, come sempre, vale anche nel macro, per gli interi popoli: non è certo un caso che il nord del mondo, o almeno dell’emisfero boreale in cui viviamo, sia parlato dalle lingue anglosassoni, capeggiate dall’inglese: un idioma semplice, chiaro, ben organizzato… proprio come sono ordinati e ben organizzati i popoli del nord.
Che però concedono qualcosa in termini di bellezza e dolcezza, elementi tipici viceversa delle lingue e dei popoli latino-mediterranei: l’italiano ha una dolcezza che le lingue del nord si sognano; il francese ha un’eleganza ineguagliata nel nord del mondo; lo spagnolo ha un calore (e non a caso la Spagna è il paese più a sud tra quelli appena elencati) assai evidente.
In compenso, le lingue romanze son ben complicate, assai più del facile inglese (facile nei suoi elementi di base, poi è chiaro che padroneggiare perfettamente una lingua, fino ai vertici di letteratura e poesia, è un altro discorso); la declinazione dei verbi è un esempio di quanto possano essere contorte e complesse… e che i popoli “romanzi” abbiano qualche difficoltà a livello di organizzazione e di civiltà è cosa ben risaputa, al contempo causa e conseguenza della loro lingua e del loro modo di parlare. La scienza peraltro ha ormai assodato che tra l’idioma, il cervello e la neurologia c’è un legame diretto, e che i tre si influenzano e vicenda.
Il discorso nord-sud naturalmente si inverte per l’emisfero australe della Terra: son meno informato su di esso ma senza dubbio anche in questo caso si possono trovare idiomi o dialetti più morbidi, caldi e dolci nel nord, ossia più vicino all’Equatore, e al contrario più essenziali e organizzati nel sud, vicino all’Antartide. Non è certamente un caso che in alcuni dei paesi più meridionali dell’emisfero australe, come l’Australia e la Nuova Zelanda, si parli inglese. Certo, per ragioni storiche… ma gli eventi del mondo fenomenico come ben noto sono scuse per mettere in campo le energie sottili e questo, come sempre, vale sia per il singolo individuo sia per gli interi popoli.
Anche in Sudafrica, punta meridionale dell’Africa, si parla anche l’inglese… e il discorso si potrebbe estendere anche alle religioni dominanti, anch’esse espressione della cultura-energia di un certo popolo: l’80% circa dei sudafricani, ad esempio, risulta cristiano, pur se suddiviso in tante sottoreligioni (metodisti, cattolici, pentecostali, mormoni, etc).
Nella punta meridionale del Sud America invece vi sono due stati di lingua spagnola, Cile e Argentina… ma, pur senza avere alcuna informazione in merito, sono più che certo che l’idioma tenda ad essere più caldo e morbido nel nord dei paesi in questione piuttosto che nel lontano e freddo sud… peraltro, le Isole Falklald sono ancora in possesso della Gran Bretagna, e qua torna il solito inglese.
Altro esempio, frutto della mia esperienza diretta: in India, pur con l’enorme ricchezza linguistica del posto, un paese invero piuttosto grande, non a caso definito sub-continente, in che lingua comunicano tra di loro gli indiani che parlano una delle tante lingue locali e che altrimenti non potrebbero comunicare tra di loro? In inglese, e questo nell’era del commercio e della comunicazione.
Come in passato, nell’epoca delle casate nobiliari, dell’aristocrazia, della musica classica e delle buone maniere, la lingua dominante a livello mondiale era il francese, nell’epoca dell’industrializzazione e del commercio la lingua dominante è divenuta l’inglese.
Come al solito: per motivi storici, ma ancor prima per motivi energetici. È sempre il sottile a dar luogo al denso, e non il contrario.
Ancora prima del francese, qual era la lingua internazionale nel mondo occidentale? Il latino, una lingua elegante ma austera… che non a caso era lingua franca in un periodo di austerità, di sudditanza politica e religiosa, di grande distanza tra le classi elevate e quelle basse e bassissime.
Senza dubbio si possono trarre esempi simili nelle altre zone del mondo dominate da altri idiomi, arabi o cinesi che siano.
Quel che mi interessava in questo articolo non era scrivere un trattato in merito, ma evidenziare a beneficio di chi legge che tutto corrisponde sempre a tutto, tanto nel piccolo quanto nel grande, che le energie invisibili determinano sempre effetti invisibili, e che la persona saggia bada alle seconde e non alle prime… e nel caso si renda conto che le manca una certa energia, si mette perfino a studiare una certa lingua pur di acquisirla (l’energia, non la lingua, che è il meno).
Fosco Del Nero
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